Cosa è cambiato nella tua vita, da quando, quasi di punto in bianco, ti esprimi attraverso l’acquerello?
La leggerezza – Da qualche anno ad un’ottica deterministica prevalentemente scientifica, logica e matematica con cui mi ponevo nei confronti di ogni tema e problema, si è affiancato un altro aspetto: quello della leggerezza nell’affrontare il mutamento.
Una leggerezza che, come dice Alejandro Jodorowsky, può anche rischiare di non farti più riconoscere dalle persone abituate a soffocare quello che hanno di bello per paura della differenza, per paura di sentirsi “anormali”.
Il tempo – Il maggiore cambiamento con cui ho dovuto fare i conti è stata una mutata dimensione del tempo. Un tempo dilatato che scorre autonomamente rispetto ai ritmi consueti della vita, un tempo che è indipendente dalle persone, dagli impegni, dal luogo o dallo spazio dove mi trovo.
Mentre dipingo il trascorrere del tempo perde significato, passato e presente si confondono e sono in un tempo-spazio dove, svaniti i punti di riferimento, mi muovo a mio agio.
Osservare il cielo nella consapevolezza che ai margini dell’universo una stella sta morendo e ciò che vediamo oggi con i più potenti telescopi è un evento avvenuto milioni di anni fa, non mi sgomenta più. Anzi mi affascina.
Figuriamoci se mi stupisce il fatto di non riuscire più durante il giorno a conciliare il tempo in cui dipingo con la pasta che scuoce o con i mille impegni che si affollano nella giornata.
La nuova dimensione mi alleggerisce dall’ansia, dalla preoccupazione del quotidiano, dalla consecutio temporum, se vogliamo.
Quando dipingo, un minuto e dieci ore scorrono alla stessa velocità.
La meraviglia – Altra consapevolezza tornata alla ribalta – dico tornata perché è una prerogativa propria dei bambini, ma anche dei poeti – è quella di sapermi meravigliare.
E mi vengono in mente le parole di Einstein quando scriveva che la ricerca della verità e della bellezza rappresentano una sfera di attività in cui è permesso di rimanere bambini per tutta la vita .
Mi meraviglio di quello che percepisco, degli occhi diversi con cui mi guardo intorno, della curiosità che mi invade di cogliere l’anima delle cose. Mi stupisco dei colori e dell’acqua che, al di là di qualsiasi intervento razionale, prendono forma sulla carta come se ad essi di me non importasse nulla.
La meraviglia è la vita stessa ed è incredibilmente bello appartenere all’universo anche se per un tratto limitato: un minuto o una lunga vita.
Io e gli altri – Infine è cambiato il modo in cui la gente mi considera, quasi fossi diversa. Noto che essere presentata come pittrice non fa lo stesso effetto sulle persone che essere presentata come professoressa di matematica. Un po’ questo mi secca perché sono sempre io e, in fondo, nulla è cambiato a parte queste quisquilie. Sento di poter dire con Borges che l’importante è semplicemente essere ammessi – come parte di una Realtà innegabile – come le pietre e gli alberi.
Alla luce delle considerazioni che hai fatto, ed ora che hai manifestato ai più la tua dimensione creativa, ti chiedo: se è cambiata la percezione che gli altri hanno di te, come è cambiato il rapporto che hai con i tuoi acquerelli? E quanto ha inciso vedere le tue opere attraverso lo sguardo dell’altro?
L’apprendista stregone – Anche qui entra in gioco la meraviglia. È difficile spiegare, non potendo usare parole, le sedimentate emozioni, il riaffiorare di concetti e collegamenti apparentemente svaniti nel tempo, il prepotente ruolo dell’inconscio e di archetipi della simbologia dei colori che prendono tutti insieme forma su carta in un’immagine emozionale.
Eppure a mia insaputa tutto questo accade mentre il pennello comincia a scorrazzare un po’ come la scopa di Topolino apprendista stregone.
Io che dipingo – Non so assolutamente nulla di me che dipingo, tranne che mi sento un placido fiume che scorre senza avere nozione della sua origine o della sua destinazione. Non mi preoccupo di ricondurre questo processo ad alcunché di razionale e codificato; ma ho capito attraverso gli occhi degli altri che il mio amatissimo Emile Nolde aveva ragione quando paventava il “disturbo” del pensiero nell’arte e che l’arte coglie nel segno quando suscita negli altri impulsi emozionali simili a quelli dell’autore.
Le mezze mele – Ecco la sorpresa: i miei amici poeti sono la mia parte mancante, la penna bastone al mio pennello, complemento ai miei colori che vorrebbero essere musica e materia e suoni, evocazioni, ma sono solo acqua su carta. E se i poeti fossero già lì dove io non riesco nemmeno ad immaginare di potermi spingere? Già sentito, già espresso a parole quello che avrei voluto dire a colori, ancor prima di me o forse nello stesso spazio-tempo dell’anima.
Ora ogni mia emozione spiaccicata su carta possiede la sua mezza mela, una poesia in cui riconoscersi. La ricerca delle mezze mele è passata attraverso straordinarie coincidenze ed incredibili, quasi predestinati, emozionantissimi incontri.
Poesie d’acqua – Segno premonitore e titolo della mostra, la definizione del mio amico Alberto Averini che in una sua recensione, in tempi non sospetti, parlò dei miei quadri definendoli ” poesie d’acqua”.
Se Stefania dovesse raccontarsi in una rilettura dei suoi acquerelli, che bilancio creativo farebbe?
L’immaginale – La fantasia è un’attività della psiche da considerare come un atto creativo costante.
Ho tentato di capire quale tipo di fantasia io utilizzi mentre dipingo. Prediligo riferirmi a Jung, ai cui scritti torno incessantemente. Egli ne ha individuato almeno tre forme diverse: volontaria, passiva e attiva. Ho escluso a priori quella prodotta volontariamente in quanto risultato di un miscuglio di elementi consci nei quali non mi riconosco affatto.
Negli altri due tipi c’è un’“irruzione di contenuti inconsci nella coscienza” che sembrano riguardarmi più da vicino. Cambia solo il modo in cui ci si pone di fronte a questa irruzione.
La fantasia passiva si impossessa di chi ha un atteggiamento indifferente verso ciò che affluisce dall’inconscio. In questo caso mi sarei trovata nella posizione del sognatore o dello psicotico e sarei diventata una vittima della fantasia stessa.
Sono convinta di non essermi lasciata invadere passivamente dai contenuti inconsci e riconosco di aver utilizzato la fantasia come strumento di contenimento e guida del materiale emergente. Penso di aver utilizzato una “immaginazione attiva”, partecipe ed attenta alle trasformazioni in atto.
La considero una sorta di spontanea amplificazione degli archetipi (immagini primordiali ) dei quali ho percepito l’essenza profonda, ma reputo assolutamente illusorio pensare di scoprirne la reale natura.
In che senso e a quali tipi di archetipi ti riferisci?
L’archetipo – La domanda mi permette di introdurre un’altra possibile rilettura a posteriori dei miei acquerelli, basata sulla simbologia del colore che è strettamente connessa al concetto di archetipo: struttura essenzialmente inconscia che molti grandi da Jung ad Heiddeger hanno tentato di classificare.
L’unica via di accesso alla coscienza di un archetipo è proprio l’immagine. E in questo mi sento privilegiata…
Le figure archetipiche simbolizzano strutture primordiali universali che Heiddeger raggruppa nella tetrade: dei, uomini, terra e cielo.
I colori – Anche i colori, o meglio le immagini dei colori, sono archetipi che appartengono all’inconscio collettivo con una stessa valenza sia in Occidente che in Oriente, in culture attuali come in quelle primitive.
Puoi farei un esempio di questo concetto?
Il nero – Prendiamo ad esempio il nero. È il colore della negazione, antitesi di tutto ciò che è positivo, delle tenebre, dell’occulto, della distruzione e dell’assoluto. Esprime molto bene l’atteggiamento della nostra cultura verso la morte.
Il fatto che nella cultura indiana sia il bianco il colore legato alla morte dipende essenzialmente dal significato di purificazione e di nuovo inizio che viene attribuito a questo evento. Mentre il significato psicologico del colore nero resta invariato anche in quella cultura.
E tu usi il nero ?
Non ho mai usato il nero nei miei acquerelli. Neanche il verde e il rosso, colori fra loro complementari, hanno importanza o rilievo nei miei quadri.
Né grigio né viola sembrano appartenermi e rappresentano una vera eccezione. Il colore, come afferma Kandisky, può esercitare la sua influenza sull’intero corpo umano.
Il rosso – Il rosso ha, come ogni colore, una intrinseca bivalenza: aspetti positivi ed aspetti d’ombra; traduce l’energia psichica nelle sue forme istintuali, spirituali e creative (amore, sessualità, passione) e in quelle distruttive (odio, aggressività, violenza).
Quando nello spazio nero dell’increato e dell’indifferenziato qualcosa comincia prendere forma, compare il colore rosso: l’energia cosmica della generazione, il fuoco, le divinità legate al fuoco. È il simbolo della vita, dell’energia, dello spirito, degli inferi, del sangue, dell’azione. È il colore maschile per eccellenza, degli appetiti di ogni tipo, dell’aggressività, dell’ira, della guerra dell’eros, della rivoluzione nel collettivo contemporaneo. Il rosso stimola il battito cardiaco in chi lo osserva e provoca eccitazione. Ho una reale difficoltà ad usare il rosso. I miei rossi vengono utilizzati nelle mescolanze, quasi mai puri.
Gli azzurri – Nitida è invece la mia predilezione per i blu e gli azzurri. Il blu, effetto fisico di sedazione, si colloca al polo opposto rispetto al rosso: determina un rallentamento delle funzioni vegetative (ritmo cardiaco, respiratorio e pressione sanguigna). Il blu e l’infinito. Il blu e la metafisica. È il colore del cielo, delle figure uraniche, di potenze superiori benevole; il blu come dimora celeste, come intuizione dell’infinito, dell’eternità, del processo spirituale, della meditazione, dell’ascolto recettivo. Il blu è il colore dell’acqua e del femminile, della quiete fisica e della serenità emotiva. Il blu è armonia, è unione con il tutto.
Non posso parlare come vorrei di tutti i colori, ma indagando sui miei accostamenti cromatici ho scoperto di utilizzarne di molto personali e di aborrirne alcuni in modo per ora inspiegabile. Riconosco forse in una palpabile familiarità con la mia origine mediterranea in alcune radicali scelte.
Ovviamente se l’esigenza di comunicare spinge il pensiero a farsi parola, il linguaggio sul terreno percettivo legato ai colori e alle immagini è meno evidente: non risponde alle domande “perché” o “come”, ma parla del luogo in cui l’emozione produce la trasformazione dalle tenebre in luce ed in questo campo confesso che ho ancora molte difficoltà ad addentrarmi.