Direi simbolistiche, molto più che impressionistiche, le ascendenze dell’arte di Stefania Camilleri, vivace acquarellista cresciuta alla scuola del maestro Vladimir Khasiev. Collocabile pertanto nel versante introversivo dell’arte contemporanea, questa pittura è allineata con le tendenze nuovo-figurative dei tempi attuali, tese a radiografare il mondo oggettivo, catturando le trame spiazzanti del reale.
Bisogna avvertire però che la qualità più pertinente di questa proposta pittorica risulta di natura olistica, in quanto lo scavo nel molteplice riconduce presocraticamente al tutto, all’uno o all’essere, anziché al frammento, al nulla e all’entropia. E’ in fondo la radice universale dei fenomeni, l’intelligente piano armonico di ciò che appare, a interessare Stefania Camilleri. Così, di ogni soggetto dipinto, di ogni ente particolare, ella illumina l’appartenenza al tutto, le proprietà sottili ed essenziali.
Una grande varietà tematica caratterizza gli acquerelli della Camilleri. La quale passa con disinvoltura dai soggetti cosmici (fasi lunari, nebulose e galassie) ai soggetti domestici (nature morte, fiori, frutta, libri, bottiglie e panni stesi al sole) fino ai paesaggi terrestri ed acquatici. Ma cos’è che accomuna le varie esperienze artistiche, dando corpo ad uno stile netto e riconoscibile, nonostante la giovane o non consumata esperienza della pittrice?
In una formula, direi: la ricerca del semplice nel complesso, dell’elementare nell’intricato. La ricerca, dunque, della maestosa semplicità dell’essere fra gli aggrovigliati labirinti esistenziali. Questi acquerelli traducono in feste cromatiche un canto di filiale appartenenza al cosmo e di devota fratellanza universale. C’è la meraviglia del fanciullino ritrovato, lo stupore innocente del maturo cuore dell’uomo di fronte al disegno provvidenziale del creato.
La dominanza cromatica è grigio-azzurrina, con una tendenza al soft, al morbido, alle visioni ovattate e fluide, prive di contrasti forti. Si smussano gli angoli e i rossi si fanno rosa. I neri impallidiscono, e così via, in una poetica, potremmo dire, anticavaraggesca, vaporosa ed acquatica, comunque osmotica, a metà tra l’evanescenza dei cieli e l’enigmatica orizzontalità dei mari. Quanto azzurro fresco e frizzante, con i suoi profondi sensi di armonia!
Manca il fuoco, gli altri elementi ci sono (il fuoco distruttore, ovviamente, perché quello costruttore c’è: un fuoco lento e tiepido, un eterno sole, generatore e conservatore di vita). E appaiono terre come dolcissimi approdi: tappe struggenti, golfi intriganti e teneri, pause attrattive e insieme propulsive (“Pausa” è esattamente il titolo di un’opera emblematica, giocata sulla tensione fra oggetti statici e vibrazioni eteriche, di oggetti sul punto di slanci celestiali).
Ed ecco il coraggio odisseico, cauto ed invincibile, ardere solitario negli immensi mari. Ecco il vinto e mai domo volo di Icaro verso un altrove lontano. E’ una visione del mondo sospesa tra finito ed infinito; un’idea della vita come contrasto-passione amorosa fra assoluto e relativo. In quest’arte, dove la tavolozza è varia e policroma (giammai monocroma), i vivaci contrasti sono sempre risolti in armonia. Una poetica del tutt’uno e dell’unìsono che non annulla il pathos del molteplice, né tende verso l’indistinto, ma innesta ciò che è opposto e distinto in un disegno polifonico di cooperazione universale.
Non è dunque il trionfo dell’amore sulla lotta, ma il trionfo dell’amore nella lotta, e viceversa: Yin e Yang avvolti in un medesimo respiro. Può sembrare un controsenso, ma è proprio questa la vita, fondata sul guado interminabile di ogni confine. Stefania Camilleri non ha in odio la logica, la ragione oppositrice e distintiva. E’ un’insegnante di matematica che ha scoperto il fascino del mistero, le vie intuitive ed analogiche dell’arte al di là del piano razionale. Contraddizione? Direi meglio dualità armoniosa dell’essere, complementarità ed equilibrio degli opposti fra di loro.
Quanta matematica, del resto, in uno spartito musicale! E che dire di una lirica in perfetta metrica? Che delle ardite architetture lanciate nei cieli? E cosa ancora della scientifica poesia galileiana? Arte e scienza (come ogni altra branca dello spirito umano) non si dividerebbero più di tanto, se al centro ponessimo sempre e comunque l’uomo, con le sue contraddizioni conciliabili nel nome dell’umano. Se l’artista pone l’arte al di sopra di se stesso, ecco che si fa schiavo delle fatue emozioni. Così lo scienziato dell’arida logica, il religioso della falsa divinità ed il filosofo dell’illusoria utopia.
Stefania Camilleri è sinceramente interessata ai progetti interattivi. Può dimostrarlo questa mostra e questo stesso catalogo, in cui ella ha cercato e trovato fertili intese con la poesia. Per non parlare poi del “Sinestesismo creativo”: un vero e proprio movimento artistico da lei fondato (insieme a Rita Abatini e Raimondo Venturiello) nell’intento di promuovere la collaborazione fra le più svariate Muse.
Questi acquerelli parlano dunque un linguaggio universale. È come se le forme e i colori si disponessero sulla tela in maniera autonoma dalla volontà razionale: il che non significa che siano dominati dal caso, dall’emozione, o da altri automatismi psichici, come di norma pensiamo. Lo spirito (giacché è di questo che parliamo) non ha alcunché di onirico, di emotivo, di irrazionale. Non sogna, non s’illude, non vede fantasmi o chimere, bensì spezzoni di realtà che la mente comune ha dimenticato.
La realtà è il tutto e il tutto è mistero. Non ingannino, dunque, le atmosfere fiabesche e sognanti di questi elaborati. Quello di Camilleri è un viaggio nella realtà scomparsa alla vista razionale/irrazionale. Ed è un aprirsi improvviso di finestre su mondi paralleli, una dilatazione mentale in bolle e fenditure, dove affiorano torri, archi, cupole e sagome di città sommerse, misteriose. Apparizioni vere, seppure inusuali; avvistamenti del mondo com’è (come è stato creato) al di fuori di ogni inquinamento operato dall’uomo.
È un navigare placido in acque dove il tempo scorre lento e forse non passa mai. Qui si raccolgono conchiglie e nautili che parlano di un’antica età ritrovata. Di un’eternità dove tutto muta restando sostanzialmente immutato. Ed anche gli arcaismi abbondano, in queste tele, con echi preistorici, ellenistici, pompeiani. Non certo per amore di ciò che è sepolto, polverizzato, mummificato, ma al contrario, per amore di ciò che non muore, o che muore vivendo.
Giacché più si logora e più brilla, la vita. Più si consuma e più dà il meglio di sé. Più si nega e più si afferma all’infinito.
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